
“Le avventure accadono a chi le sa raccontare”, disse il pedagogo Jerome Seymour Bruner, padre della psicologia cognitiva. Citazione che si presterebbe bene a descrivere il lavoro teatrale di Henna Teatro per il II spettacolo di Teatro alla deriva al giardino, Francesca da Rimini – un disastro comico, andato in scena lo scorso 13 luglio al Giardino dell’orco di Pozzuoli, sul lago d’Averno.
FRANCESCA DA RIMINI, UN AUTENTICO DISASTRO COMICO
Sebbene la chiosa finale del personaggio di Vittorio Passaro, qui in veste sia di attore che di regista, nonché di drammaturgo scenico, sostenga il contrario (“Questa storia non si può raccontare!”), il disastro comico del titolo si rivela un’avventura spassosa, esilarante e divertentissima in un caldo pomeriggio d’estate, tra il frinire delle cicale e il ronzio di qualche zanzara.
I quattro attori in scena, paradossalmente, sanno raccontarla benissimo, procedendo per accumuli, iperboli, ripetizioni (l’ossessivo Buonasera del personaggio di Paolo, col viso sepolto sotto una folta barba peluche simile a una gorgiera seicentesca).
Figure retoriche di un caos scenico che inizialmente sembra non decollare, forse a causa di un’eccessiva durata della presentazione – non presentazione della compagnia, impelagata nel traffico, e nell’assenza beckettiana sotto l’albero metafisico che accompagna fedelmente tutta la rassegna diretta da Giovanni Meola, giunta alla XIV edizione.
UNO SPETTACOLO GROTTESCO, RISCRITTO E PORTATO IN SCENA A TEATRO ALLA DERIVA AL GIARDINO 2025

Poi però la piece prende spedita il largo sullo sfondo del lago d’Averno, e a vele spiegate attraverso il grottesco ed elementi surreali, da teatro dell’assurdo.
La riscrittura della vicenda tragica di Francesca da Rimini, firmata da Francesco Rivieccio, partendo dall’opera di Antonio Petito, si rivela perciò efficace, nonostante qualche incertezza iniziale.
Anche lui è in scena nelle vesti di strampalato suggeritore, decisamente improbabile, insieme al già citato Passaro e a Domenico Pinelli (già Peppino De Filippo nel film TV RAI di Sergio Rubini, qui con parrucca bionda e trecce degne di Raperonzolo per interpretare Francesca); e Francesco Romano, quest’ultimo un Paolo impacciato, goffo e disorientato.
UNA TRAGEDIA CHE DIVENTA COMMEDIA E VICEVERSA

La tragedia della gelosia che travolge le giovani vite di Paolo e Francesca si tramuta in una commedia degli equivoci e in un gioco teatrale gustoso, per certi versi meta teatrale, di teatro nel teatro. Play within the play, si potrebbe definire, per menzionare uno degli artifici del teatro shakespeariano.
Cullata inizialmente da spiritose musiche medievali basate su motivetti pop abbastanza riconoscibili – su tutti Blue degli Eiffel 65 e Bad Romance di Lady Gaga – Francesca da Rimini si presenta davvero come una bad romance, una cattiva storia d’amore: mal scritta, male interpretata, mal gestita sul palco d’erba e fieno, tra il verso di una capretta della fattoria vicina e quello di una gallina, e male improvvisata.
Tutto per finta ovviamente, in un ameno divertissement a scatole cinesi, anche un po’ matrioska, e proprio per questo motivo funziona alla grande.
I PERSONAGGI DI FRANCESCA DA RIMINI

Francesca è confusa e spaesata, Gianciotto Malatesta (il marito) appare imbranato nonostante elmo e corazza, Paolo (fratello di Gianciotto e cognato di Francesca) sembra quasi capitato lì per caso, non proprio convinto del suo ruolo e del suo amore per Francesca (interpretata da un uomo, con tutte le conseguenze e l’imbarazzo del caso al momento del fatidico e sospirato bacio).
Come se non bastassero le melodie moderne riproposte con fiati degni dei banchetti del Medioevo, Francesca canticchia al calar del sole anche Rossetto e caffè di Sal da Vinci, in una rappresentazione scenica non-stop che anche stavolta con la luce naturale sveste gli attori, al netto dei pesanti costumi di scena: senza luci artificiali e faretti non ci sono pause, entrate in scena, colpi di scena improvvisi e cambi d’abito, e tutto risiede nella forza degli attori, nella loro vis comica.
Fa capolino pure la maschera di Pulcinella sul volto del suggeritore in questo pastiche che fa tornare alla memoria le atmosfere e lo spirito della Smorfia, sicura fonte di ispirazione per il poker di attori in scena.
“Amor condusse noi ad una morte”, scriveva il sommo poeta Dante Alighieri nel V canto dell’Inferno, dove posizionava i due amanti fedifraghi nel girone dei lussuriosi, e il momento del fatale assassinio ad opera di Gianciotto si colora di tinte western o gangster, con una pistola i cui colpi aprono e chiudono l’ora abbondante di mise en scene.
L’albero scenografico di questa rassegna sta mettendo i frutti anzitempo – mele annurche – a causa del cambiamento climatico, coerentemente con l’assurdità di questa avventura comica abbondantemente sopra le righe.
Galleria foto di Davide Russo












