Dieta Mediterranea e sake giapponese sembrano lontani anni luce, ma invece non è proprio così.
Il modello nutrizionale mediterraneo, per il quale l’Italia è indiscussa capitale, e il sake giapponese hanno una compatibilità non soltanto dal punto di vista gastronomico, ma anche culturale.
Giovanni Baldini a Firenze ha fondato la Scuola Italiana Sake e ha creato il format del Sake Days, un vero e proprio ponte interculturale tra i due Paesi e un appuntamento per chi vuole vedere e assaporare il volto inedito del Giappone.
La triade alcolica
Le tre principali religioni monoteiste del bere fermentato sono inequivocabilmente il vino, la birra e il sake giapponese, a dimostrazione del fatto che il dio Bacco non è mai stato né monotono né monofago, approdando persino nelle terre del Sol Levante, per insegnare all’uomo cosa estrarre dal riso per brindare al miracolo dell’esistenza.
Esattamente come per sorella birra e fratello vino, anche il sake giapponese ha una storia millenaria, riuscendo ad essere bevanda tanto popolare che elitaria: il suo racconto è intriso di cultura, arte, storia e letteratura, riesce ad abbracciare tutte le umane attività, non di meno la religione, la bellezza e la salute.
Pertanto è chiaro che il sake non è certo una moda, fa decisamente tendenza, se così si può dire, e accompagna l’uomo nel lungo corso del fluire del tempo, testimoniandone l’evoluzione, contribuendo alla nascita della Civiltà Nipponica.
L’arrivo del sake in Occidente
Il fermentato più famoso del Giappone è diffuso in tutto il mondo e si pensi che ebbe il suo esordio ufficiale dinanzi al grande pubblico occidentale proprio durante la prima Weltausstellung nel 1873, nell’allora capitale dell’impero austro-ungarico. Non soltanto famoso ma anche prodotto in tutto il mondo, anzi imitato, il sake è entrato di fatto nella quotidianità, ricoprendo un ruolo, tanto alimentare quanto edonistico, sulle tavole dei Paesi Orientali e non solo; diventando un ottimo pairing per pietanze raffinate d’ogni sorta; e persino come ingrediente principale in moltissimi cocktails, come il saketini, capostipite della miscelazione a base del fermentato di riso, inventato nel Queens dallo chef Matsuda nel 1964.
Con il termine sake viene indicato molto genericamente l’alcol, mentre con la parola Nihonshu, scritta allo stesso modo e probabilmente inventata dai samurai per diversificare la loro bevanda nazionale dalle altre importate nell’arcipelago, si tende a definire un prodotto che deriva dalla fermentazione del riso, con aggiunta di acqua e koji, una sorta di spora fungina o muffa.
Inoltre, perché lo si possa denominare Nihonshu, occorre venga sottoposto a filtraggio, fatti salvi diversi stili di lavorazione e, al di sopra di ogni cosa, deve essere prodotto e imbottigliato integralmente ed esclusivamente in Giappone.
Un po’ di storia
Con buona probabilità il casuale processo di fermentazione del riso ha avuto origine in Cina attorno al V millennio a.C. nei pressi del Fiume Azzurro, per quanto altre fonti sostengano sia avvenuto in prossimità del Fiume Giallo, durante il periodo della dinastia Shang, tra il XVII ed il XI secolo a.C.
Nella grande Cina, tre secoli prima della nascita di Gesù Cristo, viene fatta menzione di una particolare muffa per la prima volta nello Zhouli, libro dei riti della dinastia Zhou, che in seguito verrà classificata come aspergillus oryzae, ossia quel fungo filamentoso di estrema importanza per l’alimentazione in tutto l’Estremo Oriente.
Ciò non significa che il sake abbia avuto origine in Cina, per quanto la bevanda più prossima ad esso sia il cosiddetto huang-jiu. Grazie al know-how cinese sulla coltivazione del riso, il Popolo Giapponese ha inventato il fermentato tra il 300 a.C. e il 300 d.C. nella versione ancestrale del kuchikami no zake, fino ad arrivare ai nostri giorni, e grazie a processi innovativi, con le attuali espressioni di questa iconica bevanda.
Come abbinare il sake alla Dieta Mediterranea concettualmente
Ovviamente è facile immaginare certi abbinamenti col nihonshu: sushi, ostriche e sashimi ne sono un esempio piuttosto lampante e diffuso. E se invece vi suggerissero di sorseggiarlo con la nostra amatissima Dieta Mediterranea?
Intanto cominciamo col rilevare che l’Italia, pressappoco, e il Giappone sono entrambi circondati dal mare, hanno uno sviluppo territoriale che si estende in lunghezza e non in ampiezza, oltre ad essere Paesi vulcanici e sismici, imbrigliati nella stessa fascia di latitudine.
Le osservazioni che diedero vita allo studio epidemiologico condotto dal celebre Ancel Keys a partire dal 1957, colui che coniò il termine “Dieta Mediterranea” e ne enunciò i dettami, hanno annoverato anche il Giappone.
Infatti il Seven Countries Study, ideato, coordinato e condotto per molti anni dal prof. Keys, è stato uno studio epidemiologico di monitoraggio, condotto su oltre 12 mila persone di età compresa tra 40 e 59 anni, appartenenti a 16 aree situate in sette Paesi dislocati in tre continenti.
Le analisi ottenute dalle osservazioni fanno riferimento alle relazioni intercorrenti tra abitudini alimentari e malattie del sistema cardiocircolatorio: in via generale, l’incidenza e la mortalità coronarica risultavano decisamente più elevate nelle aree del Nord Europa e del Nord America, e più basse nel Sud dell’Europa e in Giappone.
Assonanze
Ebbene le assonanze tra la Dieta Mediterranea e la Cucina Giapponese sono evidenti almeno dagli anni ’70 del secolo scorso e sottolineano quanto un consumo di alimenti variegati, privilegiando materie prime di origine vegetale in un sano stile di vita, siano tratti comuni dei centenari del Cilento e del Giappone, seppur con ingredienti differenti, ma dallo stesso valore nutraceutico e, talvolta, dal simil profilo organolettico.
Piaccia osservare che, per quanto con sfumature e costumanze diverse, il popolo giapponese e il nostro amano dare il benvenuto a tavola, perché l’ospitalità, la condivisione del buon cibo e del buon bere sono elementi inscindibili di un grande, genuino senso di convivialità.
Come abbinare il sake giapponese alla Dieta Mediterranea nella pratica
Per quanto si possa giustamente ritenere che natto, salsa di soia, miso e tofu siano elementi “alieni” alla nostra idea locale di gastronomia, è bene ribadire che i Paesi del Mare Nostrum non sono assolutamente estranei ai cibi fermentati: ne sono esempio il kefir, la colatura di alici e le olive in salamoia.
Inoltre non è recentissima la diffusione di modelli di ristorazione che fondano la loro filosofia su piacevoli contaminazioni e tecniche come la latto-fermentazione.
Gli alimenti mediterranei
Al Katsuobushi andrebbero contrapposte bottarga, acciughe sotto sale e la stessa colatura di alici. Al tofu invece la mozzarella o Parmigiano Reggiano, a seconda del grado di stagionatura della cagliata di soia. All’Alga Wakame si potrebbero alternare puntarelle ed agretti con i condimenti a noi più cari come i pomodori secchi.
La chiave di volta dell’abbinamento è nel fattore umami e nella considerazione che, grazie a un quinto in meno dell’acidità contenuta mediamente in un vino, il nihonshu non litiga mai col cibo.
Insomma crudità sia di mare che di terra, risotti, formaggi, funghi e tartufi, verdure grigliate, salumi, frittate e carni pregiate si offrono piacevolmente al pairing con il nihonshu. Provare per credere!