“Recuperare attraverso il passato quello che può essere il nostro futuro”.
E verrebbe da aggiungere “anche il nostro presente” alle parole spese dalla guida turistica, nonché storico dell’Arte, Matteo Borriello per presentare al pubblico in tv la visita guidata teatralizzata targata Nartea del 25 marzo scorso, e dal titolo evocativo: “Peregrinos”.
Borriello rimandava alla storia dell’accoglienza a Napoli, con particolare riferimento alle vicende del Complesso Museale dell’Arciconfraternita dei Pellegrini a Napoli.
Un vero e proprio gioiello artistico incastonato nei vicoli del centro storico, e nascosto letteralmente dalla moderna struttura dell’Ospedale dei Pellegrini.
Il passato di questa città, da sempre aperta al Mediterraneo col suo porto e crocevia di popoli e peregrinazioni appunto, può essere uno spunto per riflettere infatti sulle moderne forme di accoglienza (e di soccorso, stando alle cronache più recenti) e sulle modalità future da ripensare in ottica europea e globale.
Napoli del resto è stata sempre una capitale importante e centrale nella storia europea, dai vari regni federiciani, angioini, aragonesi fino a quelli spagnoli, e proprio nell’immensa compagine coloniale ispano-portoghese ricopriva a tutti gli effetti il ruolo di seconda città del più grande impero dell’epoca.
E quindi del mondo, se ci pensiamo bene.
Cosa che era ben nota verso la fine del XVI secolo, quando il sarto Bernardo Giovino fondò a Napoli l’Arciconfraternita, deputata a ospitare e ad accogliere coloro che erano in viaggio verso luoghi sacri.
Una realtà molto simile a quella fondata a Roma dal celebre San Filippo Neri.
Fabrizio Pignatelli poi, esponente di spicco di una delle famiglie aristocratiche più famose di Napoli, volle edificare nella zona della Pignasecca una chiesa dedicata a Santa Maria Materdomini e una Casa Ospitale, ma a causa della sua morte si riuscì a costruire solo la prima.
L’Arciconfraternita ricevette però in dono rendite e terreni ed è proprio grazie all’intreccio di queste vicende, donazioni e interessi comuni che oggi possiamo ammirare la Chiesa di Santa Maria Materdomini.
L’edificio di culto ospita il monumento funebre del già citato cavaliere Pignatelli e la Madonna con Bambino di Francesco Laurana, originariamente collocata sul portale d’ingresso della facciata rinascimentale che dà su piazzetta Pignatelli.
La chiesa, a unica navata, fu danneggiata dai bombardamenti dell’ultimo conflitto mondiale, e perciò sottoposta a restauro dopo i già rilevanti rimaneggiamenti del XIX secolo.
Accanto all’edificio ecclesiastico sorge poi la Chiesa della Santissima Trinità dei Pellegrini, tempio dalla singolare pianta ottagonale e con gli affreschi monocromi della cupola.
Dal presbiterio rettangolare si accede al coro dagli imponenti stalli in legno (sempre in pianta ottagonale), sotto il quale è possibile visitare poi la terra santa (anch’essa ottagonale, a richiamare per tre volte – la trinità – il numero 8, giorno dell’Apocalisse).
Ed è proprio dall’ambiente ipogeo che la visita teatralizzata è iniziata con la performance di Peppe Romano (l’arciconfratello), seguita da quella di Valeria Frallicciardi (la popolana), e da Raffaele Ausiello nei panni del pellegrino giunto a Napoli dopo aver attraversato mezza Europa, e con alle spalle una vita di sofferenza inflitta e subita.
I testi di Febo Quercia, direttore artistico di Nartea, hanno offerto uno spaccato interessante della vita del tempo, del rapporto dei confratelli con il mondo esterno e con i pellegrini, della solidarietà e dell’assistenza (da ricordare i costumi realizzati da Antonietta Rendina).
Un welfare state affidato in quei secoli esclusivamente all’opera benefica e caritatevole degli istituti religiosi, delle arciconfraternite e dei monasteri e conventi.
Uno spirito che però Napoli ha saputo conservare nel tempo e che persiste ancora oggi, tempo in cui si parla di carichi residuali umani e inopportunità delle partenze.
Dimenticando, purtroppo, che l’Uomo si è sempre spostato nel corso dei secoli, che le migrazioni sono una costante della Storia, un paradigma fin dagli albori dell’Umanità.
Senza spostamenti e scambi culturali e artistici la capitale del Mezzogiorno non sarebbe mai stata tale, e che tanta bellezza non sarebbe mai stata prodotta, realizzata o edificata.
Proprio come questo complesso ancora ignoto a molti concittadini, i primi pellegrini di un nuovo viaggio culturale tutto da scoprire e approfondire.