Il mese scorso a Napoli Antonella Capobianco ha presentato, al bistrot letterario di Piazza Dante “Il tempo del vino e delle rose”, il suo primo libro, già pubblicato a febbraio da PAV Edizioni. “Nei nostri sogni”, questo il titolo del suo debutto sugli scaffali delle librerie, racconta di una madre che continua a vivere anche dopo la sua tragica e prematura scomparsa, come fantasma ovviamente: nella casa, tra i suoi cari, nei loro sogni e in particolare in quelli del figlio più tormentato, segretamente gay. Nemmeno il secondogenito però ha una vita sentimentale tranquilla, bisogna ammetterlo, e l’amore materno senza confini e limiti di Emma li guiderà verso un’elaborazione del lutto, e verso una soluzione dei piccoli problemi che attraversano il suo nucleo familiare. I tanti temi attuali affrontati sono alla base di questa intervista.
Come in alcuni classici animati e nella serie Game of thrones la tua protagonista, purtroppo, muore proprio all’inizio della storia. Questo però non le impedisce di essere la protagonista assoluta della narrazione, anzi…
La morte è la protagonista assoluta della nostra vita. Nasciamo e comincia il countdown che ci porta all’inevitabile epilogo. E non riusciremo mai a trovare la felicità, essendo consapevoli del nostro destino mortale. Quindi, inevitabilmente, Emma simboleggia la nostra più grande angoscia, ma anche la nostra speranza: ovvero che in realtà, vita e morte confluiscono l’una nell’altra, rendendoci eterni.
Quanto c’è nella tua Emma di te, della tua femminilità e dell’idea di donna che hai, che ti hanno insegnato e tramandato?
Emma è molto simile a me e ha molto di ciò che io intendo per femminilità. Degli insegnamenti che ho avuto circa l’idea di donna, ho buttato via tutto tranne l’istinto di accudimento e di sacrificio che, penso. siano peculiari delle donne. Sono le virtù sulle quali, in gran parte, si fonda l’umanità.
E’ una madre in cui ti rispecchi e in cosa siete uguali?
Mi rispecchio molto in Emma. Io e lei abbiamo in comune il legame simbiotico coi figli, che ci fa vivere la maternità in maniera quasi tormentata, a causa della nostra empatia (o forse grazie ad essa) che ci rende felici dei successi e depresse per i dolori che vivono i figli. Nonostante ad una prima analisi si possano definire pregi, i sentimenti che accomunano Emma e me, in realtà, sono dei deterrenti all’autonomia dei figli.
Di questi tempi, e soprattutto da quando abbiamo vissuto il covid, l’dea della morte si è improvvisamente palesata nelle nostre vite, come se l’avessimo rimossa in una società longeva che vive anche nella negazione della morte stessa. Quanto ti fanno paura questi tempi?
L’orrore dei nostri tempi è il controsenso tra l’idea di immortalità, alla quale ci ha abituati il progresso, soprattutto tecnologico, e la paura di morire che ha reso l’umanità isterica, disabituata alla sofferenza, con scarsa resistenza ai contraccolpi della vita. Questo, in troppi casi, causa disturbi psichiatrici. Infatti i disturbi psichici rappresentano una percentuale altissima tra tutte le malattie, cresciuti in maniera significativa a causa del covid. Tutto questo mi spaventa, perché se in passato guerre, calamità naturali, epidemie erano superate con resilienza e anche paziente accettazione, oggi la pretesa di non avere limiti costituisce un deterrente al desiderio di rinascita.
Ti fa più paura il virus “animale” o quello dell’odio e dell’intolleranza omofobica?
Tutti noi ci siamo augurati che almeno il covid potesse avere il merito di produrre maggiore empatia e tolleranza. Purtroppo così non è stato. Anzi, a mio avviso, la pandemia ha in molti casi anche esacerbato alcuni dei comportamenti più abietti. Mi fanno paura entrambi, perché contrariamente all’iniziale illusione, secondo la quale, l’umanità sarebbe migliorata, grazie alla terribile esperienza della pandemia, in realtà ho constatato esattamente il contrario. Quindi il virus in sé è spaventoso perché ci indebolisce fisicamente, ma incattivisce ulteriormente, determinando comportamenti deprecabili .
Secondo te è possibile l’integrazione culturale in un paese come il nostro?
Vorrei che fosse possibile, ma credo che questo traguardo sia ancora lontano. Il nostro è un paese con troppi pregiudizi e limiti, che ne rende difficile la completa civilizzazione secondo il target dei paesi europei più progrediti.
”Nei nostri sogni “ è il tuo primo romanzo, ma scommettiamo che non ti fermerai dopo questo debutto, o ci sbagliamo?
Mi auguro di potermi rendere utile con la scrittura, continuando a trattare tematiche importanti e attuali, fornendo un motivo di riflessione costruttiva, attraverso la leggerezza di una storia di fantasia.
Sei favorevole al DDL Zan e allo Ius Soli?
Sicuramente sono favorevole ad una maggiore tutela nei riguardi di categorie di persone rese più indifese da lacune normative. Quindi sì, in linea generale, sono d’accordo, ma non vado nello specifico, perché non ho competenze settoriali per potermi esprimere esaustivamente.
Hai fiducia nelle future generazioni, da madre, o hai perso le speranze alla luce di tanti casi di cronaca (bullismo, mobbing, omofobia descritta anche nel tuo romanzo) e dell’attualità più triste e violenta mai registrata in questo paese?
Ritengo che rispetto al passato ci sia molto più coraggio nel denunciare ingiustizie e soprusi e quindi di conseguenza oggi tutti noi, civili e autorità, siamo costretti a prendere atto di una realtà violenta, che per anni è rimasta sommersa da vergogna, omertà e paura. Quindi ho fiducia nelle nuove generazioni, a patto che si proceda anche al superamento di una mentalità ancora troppo retrograda.
Hai fede , nell’ultraterreno, nella vita dopo la morte e , perché no, nei fantasmi?
Non credo nel Dio delle grandi religioni monoteiste, ma ho una mia spiritualità, che sicuramente non ha nulla a che vedere con certi limiti imposti dal cattolicesimo, che contrasterebbero troppo con l’idea di inclusione che sottolineo nel mio romanzo. Dal momento che l’energia non si distrugge, sono molto possibilista sulle svariate ipotesi circa la vita dopo la morte.