Una delle immagini più belle e commoventi del primo lockdown, quello di marzo 2020 per intenderci, fu l’assolo con la chitarra elettrica, sui tetti di una Roma deserta, del tema di Deborah di C’era una volta in America: un ragazzo, le note del maestro Morricone e quella piazza Navona sottostante che fu set cinematografico per innumerevoli film e capolavori del Cinema italiano.
Ennio Morricone è stato il Cinema italiano e lo sarà sempre, un legame indissolubile che l’ha reso uno dei più apprezzati compositori di colonne sonore al mondo, venerato e adorato quasi come una rockstar, lui che invece era timidissimo e così riservato. Almeno è quel che si evince dal bellissimo ritratto che Giuseppe Tornatore, regista con cui ha collaborato a lungo, fin da “Cinema Paradiso”, gli ha tributato nel documentario “Ennio”, in sala dal 17 febbraio, passato in anteprima esclusiva a fine gennaio.
Due ore e 47 minuti che volano leggeri come quel flauto di Pan tanto adoperato nei film di Sergio Leone, altro regista con cui firmò alcuni dei commenti musicali da film più belli dell’intera Storia del Cinema. Nel corso del racconto emergono infatti numerosi aneddoti, compreso quello che rivela come Leone amasse ascoltare le prove e i cosiddetti “scarti” degli altri registi con cui aveva lavorato Morricone: il risultato fu che, ad esempio, il tema di Deborah già citato prima era stato inizialmente scartato da Zeffirelli, per trovare poi degna dimora nel capolavoro assoluto che fu “Once upon a time in America”.
Ma le curiosità emergono anche nel ricordo degli arrangiamenti scritti per Mina in “Se telefonando”, o “In ginocchio da te” cantata da Morandi, e nel rapporto complicato che il maestro ebbe con Elio Petri, in particolare per “Indagine su un cittadino al di sopra ogni sospetto”. Morricone non si era limitato a scrivere solo musica per le pellicole del grande (o del piccolo schermo talvolta), infatti è impossibile dimenticare la collaborazione con Gino Paoli e Edoardo Vianello: sue furono le ottime intuizioni per l’attacco di “Abbronzatissima” o per lo “splash” di “Pinne, fucili e occhiali”, così come per l’avvolgente motivo di “Sapore di Mare”.
“Colorava quelle canzoni”, gli riconosce nel corso delle varie interviste un emozionato Morandi che, forse grazie alle riluttanti modifiche apportate da Morricone a “In ginocchio da te”, si è ritrovato due anni fa con quella canzone nel fortunatissimo film coreano “Parasite”, vincitore di 4 premi Oscar. La statuetta sfuggì a lungo a Morricone invece, battuto persino quando ebbe la nomination per quella splendida partitura composta per “Mission” di Roland Joffe: di fronte a un lavoro straordinario che combinava la musica sacra uscita dalla Controriforma, dal Concilio di Trento e da quello Vaticano II, insieme ai motivi etnici indios, l’Academy scelse di premiare un jazzista modesto, scatenando le ire di molti in sala all’epoca.
Morricone uscì dal Kodak Theatre e alle successive candidature non ci credette più di tanto, salvo poi essere ricompensato con un Oscar alla Carriera nel 2007, consegnatogli dal quel Clint Eastwood su cui aveva cucito i motivetti immortali degli spaghetti western come “Per un pugno di dollari” e “Il buono, il brutto e il cattivo”. Riuscì persino a vincerne un altro per la colonna sonora di “The Hateful Eight” di Quentin Tarantino nel 2016, regista che fino ad allora si era limitato solo a pescare nei b-movie e nei western di Leone i temi che più apprezzava del maestro, da lui considerato degno pari di Mozart, Beethoven e Schubert nel discorso del ritiro del Golden Globe a Los Angeles.
Niente male per un giovanissimo aspirante medico che, per decisione paterna, fu indirizzato al conservatorio, al fine di intraprendere la carriera di trombettista proprio come il padre. Morricone superò il genitore e persino il suo maestro Goffredo Petrassi, sempre scettico sul valore artistico della musica da film.
Morricone si era promesso fin dal 1961 di lavorare per la cinematografia solo 10 anni, e così ripetè alla moglie di decade in decade, fino a lasciarci in piena pandemia a luglio 2020, sgomenti e attoniti alla notizia della sua morte.
Morte fisica, perché un genio come il suo, scacchista eccellente e amante del contrappunto di Bach e dell’armonia in musica, vivrà sempre nelle musiche che hanno cucito la nostra Storia e i momenti più belli trascorsi in sala e non solo.