Il covid-19 e l’emergenza ambientale hanno imposto in questo anno e mezzo una riflessione e un ripensamento di stili di vita, programmi, progetti politici e sociali, e una vera e proprio riscrittura dell’agenda internazionale. Sarebbe sciocco negarlo, dopo tutto. Non sono immuni da questo discorso l’urbanistica e l’architettura, quest’ultima ritenuta – a ragione – l’arte più antica e conservatrice del mondo, che utilizza da millenni gli stessi materiali (acciaio, ferro e cemento armato a parte) con schemi rinnovati. La definizione emerge vedendo The Arch di Alessandra Stefani, giovane regista italiana esordiente che ha diretto e prodotto questo documentario, proiettato nelle sale in 3 giorni, il 27, 28 e 29, e distribuito da Adler Entertainment. Un viaggio per quattro continenti, ovvero Europa, America, Asia e Oceania che sembra quasi interrogare lo spettatore, oltre agli architetti che vi appaiono, sui grandi temi della crisi climatica e delle nuove megalopoli del futuro.
Si parte dal continente agli antipodi del vecchio mondo, ovvero l’Australia, precisamente da Sydney, passando obbligatoriamente per le crescenti città del dragone in Cina, per la vecchia Europa e infine si approda in Nordamerica,tra Messico, Canada e Stati Uniti. Milano, Bologna, Berlino, Seoul, Pechino, Città del Messico, Toronto, Chicago, Melbourne, Tbilisi e Guadalajara sono le città in cui si reca il protagonista di questo interessante racconto visivo, ovvero Dada, architetto italiano giramondo ed esploratore moderno infaticabile.
Gli architetti intervistati fungono da oracoli del nostro tempo, rivelando come il destino dell’umanità prenda forma attraverso il mezzo dell’architettura. Essa stessa viene definita a un certo punto del film “un collettore di destini”, e mai espressione fu più indovinata, soprattutto alla luce delle grandi concentrazioni urbane poste sotto l’esame di esperti e scienziati con l’arrivo del Sars-cov-2. Se di recente hanno trovato conferma i sospetti sulla maggiore facilità di circolazione e trasmissione del virus negli agglomerati contraddistinti da interscambi come Milano in Italia, l’architetto messicano Javier Sordo Madaleno pone l’accento sulla necessità di un ripensamento urbanistico.
“Non è più possibile immaginare di espandere, far crescere le città dalle periferie, inglobandole e facendone nascere di nuove sempre più distanti dal centro, ma è arrivato il momento di riqualificare e ricostruire all’interno, riconvertendo spazi ed elaborando nuove soluzioni”, propone nella tappa centroamericana di questo excursus mondiale. E guardando le immagini di Mexico City dall’alto, precedute da quelle delle megalopoli cinesi e coreane, non c’è da sorprendersi di fronte a un cambio di rotta e a una vera inversione di marcia nel settore dell’ingegneria edile e delle costruzioni.
“Ho deciso di realizzare questo film – dice Alessandra Stefani -, per un pubblico di viaggiatori cosmopoliti adulti, impegnati a rimanere in contatto con un mondo modellato dall’architettura. The Arch è un racconto di scoperta di sé e rivelazione che fa eco al viaggio archetipico di un eroe (Dada) e ai suoi incontri quasi magici. Dal punto di vista del protagonista, l’architettura è l’apparenza delle cose, il segno esteriore che rivela mentalità, abitudini sociali e la visione del futuro. Volevo collegare il passato al futuro, l’Est con l’Ovest. Il personaggio di Dada è un dispositivo, un veicolo per forgiare questa connessione. Grazie a lui incontriamo gli straordinari architetti che ci guidano verso una comprensione più profonda di concetti come la responsabilità, la sostenibilità e la felicità. In un crescendo di suggestioni e provocazioni, attraverso il tempo e l’esposizione alla vita, Dada si trasformerà in un essere umano completamente nuovo. In definitiva, spero che il film serva come apertura nello spirito dell’architettura contemporanea e sono fiduciosa che attraverso il viaggio di Dada ci coinvolgerà, ispirerà e ci lascerà con una prospettiva arricchita sulle nostre vite. The Arch richiede il pieno impegno dello spettatore, perché non è solo una guida fatta di immagini, né un semplice itinerario supportato da destinazioni esotiche. The Arch utilizza l’architettura contemporanea per elevare il nostro spirito, rafforzando al contempo l’idea che gli edifici che abbiamo ereditato dal passato non perderanno forza e fascino nel tempo. In realtà, sarà piuttosto il contrario”, chiosa la regista.