In Italia c’è un’ossessione molto particolare e tipicamente nazionale, quella della famiglia. Da cellula basilare della società si sta trasformando in una metastasi, quando è governata da forze negative e oltremodo tossiche. Quasi 20 anni fa lo faceva notare persino un critico cinematografico sulla nota rivista CIAK a proposito degli Oscar 2006, edizione che vedeva gareggiare film molto critici sugli effetti nefasti della famiglia tradizionale e disfunzionale come Brokeback Mountain, Capote e altre opere nominate.
Al contrario dell’Italia che schierava in sala quell’anno un film con Carlo Verdone e Silvio Muccino, pronti ad affannarsi nella ricostruzione di una famiglia a tutti i costi, al netto dello sfascio in casa propria rappresentato da Il Mio miglior nemico.
Di lì a poco fortunatamente l’ossessione di Muccino junior per il cinema si sarebbe arrestata e schiantata al box office coi risultati deludenti del film tratto dal libro che aveva scritto a quattro mani anni prima, Parlami d’amore, consegnandolo finalmente al ruolo che ricopre attualmente (stando alle cronache): l’agricoltore.
Braccia (palestrate all’epoca) restituite all’agricoltura e alla terra, ma non possiamo dire che – allo stesso modo – si sia placata quell’ossessione tutta tricolore che oggi fa capolino con insistenza anche in UPAS, Un Posto al Sole.
La soap opera più longeva e seguita d’Italia, ambientata a Napoli e ormai in pianta stabile su RAI 3 nel prime time, non poteva esimersi dal ritrarre genitori invadenti, onnipresenti, papà chioccia e mamme ossessive. Del resto siamo a Napoli, nel Sud che amplifica tutto, dal rumore ai sapori a tavola, nel bene e nel male.
UN POSTO AL SOLE
Risulta pregevole l’avvicinamento progressivo a temi sociali come femminicidio, violenza sulle donne, coming out in famiglia e contrasti culturali in quartieri razzisti (l’episodio del parroco e dell’ostracismo trumpiano nei confronti del centro di ascolto e degli immigrati), ma non si può dire lo stesso delle famiglie medio borghesi della fiction. Se Raffaele Giordano, lo storico portiere di Palazzo Palladini, non si smentisce come papino chioccia coi suoi figli maschi di primo e secondo letto (non ha divorziato, tranquilli, gli morì solo la prima moglie 20 anni fa), stupiscono due evoluti come Michele Saviani e Silvia.
LA FAMIGLIA DI SILVIA, MICHELE E ROSSELLA
I due personaggi, alle prese con un tira e molla lungo quanto l’intera serie tv e con l’adozione della figlia di lei da parte del giornalista, concepita con un omosessuale a fine anni ’90, stanno regredendo da un paio di settimane.
Sarà l’apprensione per l’unica figlia (che vive ancora con loro), o per le molestie che ha subito in ospedale dal primario untuoso, ma i due genitori si sono lanciati con un interrogativo imbarazzante nei confronti del socio del Caffè Vulcano, nonché ex amico e ora moroso della figlia Rossella: “Che intenzioni hai con nostra figlia, Nunzio?“.
Non ci sono matrimoni in vista, anzi ne è naufragato già uno quest’anno con la figlia indecisa e amletica al punto da far buttare l’intero buffet del bar materno. La domanda suona da secolo scorso, se non Ottocento, e al netto delle preoccupazioni di un genitore per le questioni di cuore filiali, non dovrebbe proprio arrivare alle orecchie del futuro genero (se Dio vorrà).
RAFFAELE E I DUE EREDI, PATRIZIO E DIEGO
Tornando a Raffaele, il personaggio interpretato da Patrizio Rispo sta grattando il fondo del barile della sua ansia mal gestita coi figli ormai quarantenni (una psicoterapia farebbe bene, come sta facendo il dottor Ferri, ed è strano che un medico come la moglie Ornella non ci abbia pensato).
Non pago di ospitare a tempo indeterminato la figliastra Viola separata dal marito magistrato, ma allegramente fidanzata in casa insieme al compagno poliziotto e al bimbo avuto con Eugenio, e il figlio Diego con la nuova fiamma polacca, si sta dannando per non far andare via di casa la giovane coppia, lì dove all’estero i figli dopo i 18 anni sono presi a calci nel sedere (meno male il terzogenito Patrizio è scappato a Barcellona).
Persino il bradisismo a Bagnoli è una buona scusa per non far trovare loro un affitto dignitoso altrove (a Posillipo le scosse non si sentono? E vogliamo parlare dei mezzi pubblici inesistenti sulla collina dei chiattilli, al contrario di metro linea 2, bus e ferrovia Cumana nella X Municipalità di Napoli?).
Il bisogno di intimità, di crescita (a 40 anni urge emanciparsi) è completamente sacrificato sull’altare della vicinanza patologica e tossica, con la proposta dell’alloggio in terrazza, in compagnia di altre due persone mature (e ignare della loro convivenza). E non abbiamo affrontato ancora il tema delle invadenze delle queer family di Un Posto al Sole, le famiglie disfunzionali degli amici che stringono patti di sangue incisi su pietra e che si intromettono per ogni collo di salume, come si dice più volgarmente nel capoluogo partenopeo. Prossima volta, senz’altro.



