Così siamo passati dal regno animale a quello vegetale, era la battuta che Oliver in Chiamami col tuo nome rivolgeva a Elio, colpevole di aver usato una pesca per masturbarsi in soffitta. La stessa pesca che ha fatto capolino all’improvviso alla cassa dell’Esselunga, nello spot che sta facendo discutere in questi giorni.
La nota catena di supermercati del Centro e Nord Italia ha infatti usato il dolce frutto nella sua ultima pubblicità per rappresentare la famiglia moderna. Dimentichiamoci di quella perfetta a colazione la mattina, che mastica frollini e merendine, o della classica Mulino Bianco seduta intorno alla tavola: questa è la famiglia attuale.
La famiglia dei genitori separati che si dividono il tempo da trascorrere coi propri figli. E fin qui potrebbe anche andar bene. Ma siamo in Italia, paese che vive ancora con l’ossessione quasi morbosa per la famiglia tradizionale, da rilanciare a ogni costo sui media, cinema e tv in primis.
E infatti la bambina che si allontana dalla madre al supermercato per prendere una pesca (senza sacchetto e guanti?), fargliela acquistare e poi regalarla al papà, osserva mesta – successivamente – dal finestrino dell’auto proprio una coppia con bambino per strada.
È chiaro che stia soffrendo per la separazione dai genitori e che desideri un ritorno a quella normalità perduta o magari solo sognata (qualora la separazione sia avvenuta in tenerissima età della bimba).
La domanda però sorge spontanea: è il caso di utilizzare il dolore, la tristezza di una bambina come tanti, come quella di tanti altri bambini (sottoscritto compreso di 30 anni fa) per ragioni di marketing? A mio personale avviso dico di no, e quello dell’Esselunga è davvero uno spot da miserabili.
Aggettivo che una mia amica e collega usò l’anno scorso per definire l’operazione di marketing della Disney con le bambine afroamericane tutte contente mentre guardavano la prima Sirenetta di colore della Storia, rigorosamente in anteprima home video. Forse un po’ eccessivo allora come commento, ma la strumentalizzazione è la stessa, a ben pensarci.
Solo alla destra di governo è piaciuta, con Meloni, Crosetto e Salvini in prima linea ad applaudire come foche all’operazione di Esselunga.
E ti pareva, c’erano dubbi? La premier, pardon, il nostro premier vive con l’ossessione degna dello Young Pope di Paolo Sorrentino per la famiglia che non ha avuto o che le è stata negata. Cercando in tutti i modi, tra un urlo in Spagna da Vox e una visita in Ungheria da Orban, di farcela passare come unico modello praticabile: il migliore dei mondi possibili.
Eppure la famiglia tradizionale composta da mamma, papà e figlio/a, è in crisi irreversibile, un’istituzione in totale decadenza. Come l’Impero della poesia di Verlaine, solo che le uniche a passare sono le pesche in cassa, invece dei grandi barbari bianchi.
Non posso fare a meno di chiedermi: ha ancora senso rappresentare il desiderio infantile di un riavvicinamento tra genitori, di una riappacificazione solo per sponsorizzare il marchio dell’Esselunga?
Sarebbe poi bastato fare mente locale per ricordare che proprio quel frutto 5 anni fa era diventato sul grande schermo una sorta di giocattolo sessuale per un giovinetto alle prese coi primi turbamenti e con le sue pulsioni omosessuali in Call me by your name, il film di Luca Guadagnino citato all’inizio.
I meme sono fioccati in rete più delle considerazioni sull’ultima puntata di Belve condotta dalla Fagnani (interviste ad Arisa, Fabrizio Corona e Stefano De Martino, un concentrato di triplice e puro disagio). Che frutto ti senti papà?, avrebbe potuto chiedere la bimba appena salita in auto, con lo stesso tono caustico della giornalista di Rai2.
C’è del disagio all’Esselunga, questo è poco ma sicuro. E non sarebbe stato meglio forse far cantare alla mamma la strofa di Miss Keta? Dice che sono pazzeska, vuole uno spicchio della mia pesca. Provocatorio, certo, ma almeno non così puerile come il messaggio dello spot.