La statuetta per il miglior montaggio ai Premi Cinearti La chioma di Berenice va a Giuseppe Trepiccione, montatore del film di Gianluca Jodice Le Deluge – Gli ultimi giorni di Maria Antonietta. L’ennesimo riconoscimento al comparto tecnico in un anno che ha visto costumi, scenografia, trucco e parrucco della pellicola di Jodice già vincitori ai David di Donatello.
Complice il titolo in francese che poteva sortire un certo snobismo da parte del pubblico, è stato aggiunto al film di Gianluca Jodice Gli ultimi giorni di Maria Antonietta per concentrare l’attenzione sull’iconica figura della sovrana francese, qui indagata al pari del marito re di Francia.
A novembre 2024, quando è uscito al cinema, tutto questo non è bastato però a richiamare gli spettatori in sala e Le déluge è subito sparito dalla circolazione, salvo trovare riparo in qualche cineforum e rassegna.
LE DÉLUGE, BELLO E INVISIBILE IN SALA

Il consueto bello e invisibile (Paolo Sorrentino è il produttore associato) che (forse?) puntava direttamente all’home video, dove finalmente è approdata da mesi l’opera di Jodice, su Amazon Prime Video (a noleggio).
Tradurre il francese con Il diluvio in italiano avrebbe disorientato, eppure ciò a cui si fa riferimento è la catastrofe storica per la monarchia francese e tutto ciò che ne è conseguito con la Rivoluzione.
“Dopo di me il diluvio”, recita il vecchio adagio. Nella pellicola Le déluge, eccezion fatta per poche scene movimentate e i suoni degli spari e dei cannoni in lontananza nella Parigi di fine XVIII secolo, l’apparente tranquillità e i lunghi silenzi celano bene il tumulto della Storia in corso.
Jodice, alla sua seconda fatica dopo Il cattivo poeta con Sergio Castellitto nei panni di Gabriele D’Annunzio, si affida a un cast francese e a due attori d’Oltralpe, Guillaume Canet e Melanie Laurent, rispettivamente Luigi XVI di Francia e Maria Antonietta d’Austria, girando prevalentemente in Piemonte, nelle regge sabaude.
GRANDE LAVORO TECNICO E CAST FRANCESE

Quello che potrebbe, a prima vista, sembrare un freddo esercizio tecnico di stile (ottima la fotografia di Daniele Ciprì, così come i costumi, il trucco e le scenografie), è in realtà una rappresentazione sofferta della “commedia” umana dei reali di Francia divisa in tre atti (Gli dei, Gli uomini e I morti).
È la stessa Marie Antoinette a definire una commedia senza fine quella che il Popolo ha scritto per loro (“Siamo l’umanità”, si presentano così al cospetto del re i popolani che hanno appena decapitato la dama di compagnia della regina, così simili ai clan rivali di Gangs of New York di Martin Scorsese, che emergevano dalle caverne).
UN LIMBO DI ATTESA, NEGAZIONE E GIOCHI PER MASCHERARE L’ORRORE DELLA STORIA

Luigi e Maria Antonietta, trasferiti alla Tour du Temple, la Torre del Tempio di Parigi, vivono come sospesi in un limbo, tra coercizioni e umiliazioni, tra preghiere e rassegnazioni, l’attesa della sentenza di condanna a morte.
Il re non riesce proprio a comprendere le ragioni di un evento storico che è più grande di lui, disorientato come la consorte asburgica davanti ai proclami di uguaglianza, libertà e fratellanza nei discorsi dei rivoluzionari.
Sepolto sotto strati di silicone e protesi sul viso per trasformarlo nel cittadino Luigi Capeto (appellativo dell’ex monarca), Canet ritrae l’ultimo sovrano dell’Ancien Regime attraverso sguardi persi, smarriti, un cauto incedere e i giochi infantili coi figli (per nascondere l’orrore come ne La vita è bella).
Anche la Laurent gioca di sottrazioni, ma è più intensa. “Così finisce il mondo, non in un baccano ma in un piagnisteo”, avrebbe scritto secoli dopo Thomas Stearns Eliot.



