
Al MGFF Magna Graecia Film Festival 2025 di Soverato in Calabria ha portato il suo secondo lungometraggio di finzione, Le deluge – gli ultimi giorni di Maria Antonietta, fresco di premio Cinearti CNA – La Chioma di Berenice alla Casa del Cinema di Roma a Villa Borghese e dei David di Donatello tecnici, ma Gianluca Jodice, regista napoletano, vanta un esordio di tutto rispetto nel 2020: Il cattivo poeta, con Sergio Castellitto nei panni di Gabriele D’Annuzio.
IL CATTIVO POETA, ESORDIO NEL LUNGOMETRAGGIO DI FINZIONE PER JODICE
“D’Annunzio è come un dente cariato: o lo estirpi o lo ricopri d’oro”, pare fossero le parole di Benito Mussolini spese per il Poeta Vate confinato in un “esilio” dorato sul lago di Garda dal regime.
Troppo ingombrante per l’uomo solo al comando, quello con l’ego più grande del rinato impero in Etiopia, “ritornato sui colli fatali di Roma”.
Sentiamo pronunciare questa frase anche all’inizio della pellicola scritta, oltre che diretta, da Jodice: una storia imperdibile, interpretata dal sempre maiuscolo Sergio Castellitto, reduce quest’anno dal Conclave cinematografico internazionale.
Egli che si cala nei panni, negli sguardi torvi e nella camminata di un perfetto D’Annunzio decadente e dolente: l’ultimo grande esteta ed edonista, un patriota scomodo per la dittatura “che tutto gli aveva copiato, senza capire niente”, come sentenziano le sue donne nel film. Ciò a cui fanno riferimento è l’impresa di Fiume, con la reggenza del Carnaro dopo la vittoria mutilata della Grande Guerra.
IL D’ANNUNZIO DI SERGIO CASTELLITTO

“L’antica Grecia ci ha insegnato la bellezza, la Roma antica la giustizia e la Giudea la Santità: il Nibelungo non deve arrivare al Mediterraneo!”, urla D’Annunzio al giovane federale in carriera arrivato nella sua villa, e promosso col compito di sorvegliare il grande poeta, “cattivo” e inviso ai Fasci dell’epoca per la sua popolarità.
Il bel discorso sull’eredità classica e giudaico cristiana affidata all’Italia altro non è che il grido di dolore per le sorti infauste della nazione, intraviste da D’Annunzio con l’avvicinamento alla Germania di Hitler.
LO SCONTRO CON MUSSOLINI
L’intellettuale arriva anche a incontrare il Duce di ritorno dal Terzo Reich e la camera offre l’occasione unica di farci ascoltare l’ultimo avvertimento prima della catastrofe: “Ti sei scavato la fossa a Berlino!”, sussurra alle orecchie del dittatore italiano, ormai diretto come un treno senza freni verso il Patto d’Acciaio che sancirà l’Asse.
Il federale bresciano, cui era stato chiesto di fare da spia al Vittoriale, come nelle migliori storie di spionaggio che si rispettino, passa inevitabilmente dall’altra parte, dubitando del fascismo – in cui credeva fermamente e inizialmente – e solidarizzando sempre più con l’ultimo saggio rimasto in Italia, di fronte al delirio collettivo e al pensiero unico dell’opinione pubblica. Quasi come in un romanzo di Le Carré, o ne Le vite degli altri.
MAIUSCOLO CASTELLITTO, DOLENTE E DECADENTE COME IL POETA VATE
Un ottimo cast e una regia affilata supportano Castellitto, capace di dire tutto anche solo con un’occhiata fulminante o col silenzio dell’età avanzata.
Una splendida ricostruzione d’epoca, precisa e rigorosa, girata nei veri luoghi degli ultimi anni di vita del poeta italiano, morto poi in circostanze misteriose, e poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, il cui esito si è rivelato tragicamente in linea con le sue previsioni da moderna Cassandra.



